La zucca

La zucca è un ortaggio tipico dell’autunno che ci accompagna anche per gran parte dell’inverno. Se apprezzate questo prodotto e siete curiosi di conoscerlo più a fondo vi consiglio la lettura di questo post e di quelli successivi. Troverete notizie riguardanti le sue origini, la descrizione delle varietà più diffuse, i suoi usi e naturalmente le sue applicazioni in cucina.

La zucca, origini, usi e varietà
La zucca. Diverse varietà di zucche

Origini, varietà e usi della zucca.

Quando si parla di zucca nell’immaginario collettivo affiora immediatamente la classica rappresentazione della zucca tondeggiante di color arancione ormai conosciuta in quasi tutto il globo come simbolo delle celebrazioni di Halloween. Ma in realtà il mondo delle zucche è molto più ampio e comprende un numero enorme di varietà che si differenziano tra loro per dimensioni, forme e usi. Anche sul luogo di origine della zucca regna un po’ di confusione, infatti si è soliti affiancarla a quei nuovi prodotti portati in Europa solo dopo la scoperta dell’America. Questo è vero se riferito alla zucca gigante (maxima) appartenente al genere cucurbita, ma va precisato che gli abitanti Europei conoscevano e utilizzavano già da tempi assai remoti un altro genere di zucca chiamato Lagenaria (comunemente chiamata zucca da vino, zucca dei pescatori o zucca del pellegrino). Entrambi i generi appartengono alla famiglia delle cucurbitaceae, che comprende anche cetrioli, angurie e meloni. Sono tutte delle piante erbacee di tipo annuale e per la maggior parte sono provenienti dai paesi tropicali nei quali hanno trovato il loro habitat ideale caratterizzato da clima caldo e preferibilmente senza forti escursioni termiche.
Descriviamo brevemente i due generi di zucca, iniziando dalla Lagenaria, che risulta essere l’antica zucca conosciuta dagli Europei.

La Lagenaria Siceraria: le origini.

La parola lagenaria deriva dal greco lagenos che significa “fiasco” (vocabolo che sicuramente si riferisce alla sua particolare forma), mentre il termine siceraria ha origine dal latino e significa “bevanda inebriante” (espressione riferita molto probabilmente all’uso di contenitore di liquidi che si faceva dei suoi frutti).
La lagenaria affonda le sue radici in tempi antichissimi, come testimoniano i primi reperti risalenti a 13000 anni fa.
È difficile stabilire con certezza quale sia stato il suo luogo di origine e come si sia diffusa in quasi tutto il mondo in epoche pressoché coeve. A tal proposito sono stati svolti negli anni diversi studi di ricerca volti a scoprire il possibile percorso di diffusione seguito nei secoli dalla lagenaria. Il ritrovamento in una zona dello Zimbabwe di alcuni esemplari di lagenaria allo stato selvatico fa supporre che in queste terre l’ortaggio abbia trovato il suo habitat ideale e che quindi possa essere proprio l’area sud-orientale dell’Africa il suo paese d’origine. Dai reperti archeologici datati 13000 anni fa rivenuti in Cina e Giappone si può presumere che nel continente asiatico sia avvenuta la fase di addomesticamento. Ma le tracce della Lagenaria non si fermano nel continente Asiatico e Africano. Infatti sono stati ritrovati dei resti anche in Messico risalenti allo stesso periodo (13000 anni fa) e questo fece sorgere molti dubbi sul come la lagenaria possa aver raggiunto le terre americane a partire dall’Asia o dall’Africa. Dopo diversi anni di confronti, l’ipotesi fin d’ora più avvalorata è che la lagenaria abbia galleggiato sulle acque dell’Oceano Pacifico e sia stata trasportata dalle correnti marine; tale modalità di trasporto potrebbe esser stata resa possibile grazie alla peculiare buccia legnosa e dura che avrebbe preservato i semi e i germogli interni dal contatto con l’acqua. Negli anni ’50 un paleobotanico americano fece un curioso esperimento: lasciò galleggiare una lagenaria in una vasca piena d’acqua leggermente salata per un anno intero; dopo di che ne estrasse i semi e li conservo altri per 6 anni. Trascorso questo tempo osservò che una parte di essi conservavano ancora il loro potere germinativo e questo confermerebbe la capacità della lagenaria di compiere lunghe “migrazioni” via mare e colonizzare spontaneamente le varie parti del pianeta.

Gli usi della lagenaria.

Come detto in precedenza, si suppone che la lagenaria sia stata una della prime piante ad essere coltivate anticipando anche la coltivazione del frumento. I frutti della lagenaria destarono l’interesse dell’uomo, non tanto come fonte di cibo, ma piuttosto per le loro particolari caratteristiche.
A maturazione completa il loro interno risulta cavo, privo di polpa e con la presenza dei soli semi, mentre la buccia diventa molto dura e legnosa. Osservando quest’aspetto cosi esclusivo dei frutti di lagenaria si intuì che essi potevano trasformarsi in utilissimi contenitori da sfruttare per il trasporto o la conservazione di prodotti liquidi o solidi di varia natura. Lo sanno bene gli abitanti del deserto del Kalahari, dove le zucche a fiasco sono un elemento indispensabile per trasportare i liquidi o conservare le farine, come per noi lo sono i contenitori in vetro o plastica.
Questa sua funzione di borraccia è esplicata anche in alcune raffigurazioni di San Rocco. La presenza di una lagenaria appesa al bastone o alla cintola è uno dei simboli iconografici che caratterizza il vestito da pellegrino del Santo (da qui infatti il nome zucca del pellegrino).

La lagenaria e la creatività.

In quasi tutto il mondo l’uomo ha sfruttato la lagenaria per la creazione divari strumenti musicali. Il più famoso e conosciuto è il Sitar Indiano la cui cassa acustica è costituita da una lagenaria tagliata a metà e coperta con un sottile strato di legno.
Altri strumenti simili li ritroviamo in diverse zone dell’Africa tra cui citiamo il Berimbau, uno strumento a percussione oggi divenuto simbolo della Capoeira, la tradizionale disciplina brasiliana.
Nel Sudamerica dalla zucca vuota hanno creato le Maracas, il cui suono veniva emesso dai semi racchiusi all’interno.
La lagenaria è stata, ed è tutt’ora, fonte d’ispirazione per la creazione di vari oggetti artistici. I suoi frutti con le loro svariate e curiose forme vengono dipinti oppure incisi con dei ferri caldi (in Sardegna è molto diffuso l’uso di decorare le zucche vuote con dei ferri caldi e appenderle sulla cappa del camino della propria casa) e si trasformano in piccole (o grandi) opere d’arte.

La Lagenaria siceraria in cucina.

Prima della scoperta dell’America, in Europa si conosceva e si mangiava solo la lagenaria. Sono giunti fino a noi diversi documenti che testimoniano il consumo di questo genere di zucca tra i romani.
Il poeta romano Virgilio fa menzione di tale ortaggio in alcune sue opere e lo definisce come un alimento di poco pregio, dal gusto insipido e destinato in prevalenza al popolo plebeo. Marco Gavio Apicio, un personaggio vissuto nell’epoca augustea e il cui nome è legato alla gastronomia dell’antica Roma, nell’opera composta da dieci libri “De re coquinaria”, propone alcune preparazioni a base di zucca.
Nel terzo libro di quest’opera Apicio (o chi per lui ne ha scritto i testi, dato che ancora aleggiano dei dubbi sui veri autori), argomenta sull’utilizzo in cucina delle verdure e dei legumi e tra le tante ricette esposte ne emergono alcune dove la protagonista è proprio la lagenaria (in latino chiamata cucurbita). Egli suggerisce di cucinare la zucca lessa o fritta e di insaporirla con varie erbe aromatiche tra cui il cumino, l’origano, la cipolla, il coriandolo e la menta fresca. La pietanza viene poi ulteriormente condita e servita con varie salse a base di aceto o di mosto. Secondo quanto riportato da Apicio il gusto delicato della lagenaria consente l’accostamento con diversi aromi senza pregiudicare la buona riuscita della ricetta. La lagenaria viene citata in termini non propriamente lodevoli anche in alcuni testi di Marziale, altro poeta romano. Egli manifesta un certo disappunto per l’eccessiva presenza dell’ortaggio, sicuramente a lui poco gradito, nelle varie preparazioni
Dopo la scoperta dell’America, l’utilizzo della lagenaria in cucina subisce un progressivo declino e viene pian piano sopraffatta dal genere cucurbita, dal gusto più deciso e dolce.

La Lagenaria siceraria: la diffusione e le varietà.

Attualmente la coltivazione della Lagenaria è diffusa in tutta la fascia tropicale e subtropicale, dove il clima caldo agevola il suo sviluppo. Al di fuori della zona tropicale la lagenaria viene coltivata in Tasmania in ambienti protetti dove viene ricreato il clima idoneo. I frutti della lagenaria vengono chiamati peponidi (come i frutti di tutte le cucurbitacee) e sono commestibili solo quando sono ancora immaturi e la loro buccia è ancora sottile e mobida. Essi vengono largamente consumati dai cinesi, ma anche gli Zulu e gli Xhosa, due etnie molto diffuse nella parte sudorientale del Sudafrica, sono soliti mangiare i frutti giovani di lagenaria accompagnati dal “Mealie mael”, una sorta di polenta di color bianco ricavata dalla macinazione di una varietà di mais bianco.
In Italia, la coltivazione della lagenaria siceraria negli ultimi anni sta destando l’interesse di coloro che si appassionano alla riscoperta di prodotti il cui consumo e utilizzo è calato nell’ombra. Similmente al genere cucurbita, anche la lagenaria comprende numerose varietà che danno frutti diversi tra loro.
Tra le varietà maggiormente diffuse e più facilmente reperibili in commercio citiamo:

  • la lagenaria siceraria longissima, chiamata anche zucca da pergola, zucca serpente o zucca a clava. Essa è largamente coltivata in Liguria, Campania, Sicilia e altre regioni del meridione. I suoi frutti vengono raccolti quando sono ancora teneri e hanno una lunghezza di circa 30 centimetri (una volta giunti a maturazione possono sfiorare anche i due metri di lunghezza!) e vengono utilizzati nella preparazione di alcuni piatti della tradizione napoletana e cilentana come per esempio la tipica zuppa verde del Cilento. In Sicilia, oltre ai peponidi, vengono utilizzate anche le foglie più tenere e i germogli denominati Tenerumi e si usano come condimento per sughi e zuppe;
  • La lagenaria siceraria a fiasco: si presenta con la tipica forma di un fiaschetto con una base tonda e schiacciata e il collo grosso;
  • la lagenaria siceraria a bastone: i suoi frutti sono cilindrici, non molto lunghi e ricordano la forma delle zucchine;
  • la lagenaria siceraria a collo di cigno: dal nome che gli viene attribuito è molto facile intuirne la forma caratteristica, anche la sua buccia è di un color verde molto intenso con delle striature chiare che rendono questa varietà molto ricercata prevalentemente per scopi ornamentali;
  • la lagenaria siceraria a collo stretto: i suoi frutti hanno una base gonfia e tonda e un collo stretto di forma cilindrica;
  • la lagenaria siceraria a collo rigonfio: in questa varietà la base risulta essere più schiacciata, e il collo più gonfio;
  • la lagenaria siceraria a borraccia: anch’essa ha base tondeggiante però il collo si presenta più corto e talvolta ricurvo.
  • la lagenaria siceraria a pera: la sua forma è più tondeggiante, se confrontata con le altre varietà si nota subito l’assenza del caratteristico collo stretto.

Bibliografia

Wikipedia
“Manuale pratico per salvare i semi e difendere la biodiversità”. Michel e Jude Fanton
http://www.informatoreagrario.it
http://www.itazanelli.it

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